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giovedì 17 ottobre 2024

Ho fatto un sogno




"La regina protegge il re."


... Forse nel gioco degli scacchi ma, nel "gioco" della vita è tutta un'altra cosa.


Ricordo un film: "Constantine", fondamentalmente e senza entrare in analisi particolareggiate ed inutili, mi piace l'aspetto in cui dopo essere entrato nelle realtà psicologiche (certe) femminili, rappresentate come una sorta di discesa agli inferi, il protagonista debba, in sostanza, uccidere se stesso per poter, infine, vincere evitando così la dannazione eterna.

 

In realtà non vince, apparentemente sconfigge i demoni ma, non può salvare chi ama...

Forse è un limite imposto, forse la "vita" ci vuole e ci appella all'individuale massima responsabilità personale.


... Ieri ho fatto un sogno diverso da ogni altro:
mi trovavo di fronte ad una donna ma, più che vederla, la sentivo... Percepivo una donna senza paura...

Non avevo mai pensato né focalizzato quest'aspetto ma, debbo riconoscere che nel sogno era molto bello, nuovo e mai provato.

Era sorprendente, una sorta di comunione fuori dalle quasi infinite paure e dai suoi effetti: insicurezza, frustrazione, rabbia, senso di colpa, assenza, desiderio di rivalsa, inadeguatezza, distruzione, sabotaggio e autodistruzione, impotenza nel poter uscire dal copione.

Non c'era sesso, solo contatto di energie/Menti, come se affondasse le radici nell'eterno, senza un prima e un dopo.

Un sogno con pochi tratti, dove le sensazioni erano il soggetto e l'oggetto.


La vita, la nostra incarnazione ha senso solo finché è presente l'In Se, finché é presente l'Anima; questa, contrariamente alle credenze, non é scontata, non é presente in tutti  e soprattutto é possibile perderla.

Scrivo questo perché é mia semplice, costante e quotidiana esperienza.

Quando perdiamo il REALE contatto, il nostro esistere non ha più alcun significato o valenza, diventiamo solo un piccolo fascio di memi, qualche idea che l'educazione/programmazione ci ha messo dentro, nulla più.

Semplici ed inutili zombi.

Perso il contatto con l'Anima, al di la degli sciocchi fideismi religiosi o degli pseudo ragionamenti, tutto é perso; passeremo in questa vita e non ce ne saremo neanche accorti, tra inutili affanni, problemi, ansie, vani impegni, lavoro e vacanze.

Perso il contatto, ogni tema semplice od importante diventa vuoto a vuoto; parole e concetti come: leader, riuscita, inarrestabile, successo, vittoria, carriera e moltissime altre, diventano solo segni in una babilonia senza senso.

Ho fatto un sogno... Che mi ha insegnato molto... Facile cadere, in quella grande immensa forza femminile che diventa distruttiva a causa della paura, paura di...

Ho fatto un sogno nel quale incontravo una donna senza paura... 

      Un Uomo ed una Donna senza paura, incontrandosi, toccano e partecipano all'eternità...

Ho fatto un sogno così reale che la realtà appariva offuscata ed indefinita...

Chi è ancora vivo, ha una strada da percorrere, ha il proprio progetto da realizzare e ad ogni step, il livello d'intelligenza, la capacità di vedere, la possibilità del piacere e di godere aumentano... Si, si è soli, meravigliosamente soli ma, senza paura!

Ho fatto un sogno...

sabato 31 ottobre 2015

Arthur

Ieri ho rivisto un vecchio film del 1981: la nostra società, i modelli di questa sono sempre più strutturati, sempre nella stessa direzione e sempre peggio.

Apparentemente è un film comico, semplice, quasi "sciocco".

Si guarda, si ride e poi come ogni immagine, come ogni cosa ed emozione intorno, ti programma, ci programma, fa realtà.

Attraverso l'apparente semplicità, vengono sdoganati e ripetuti sempre gli stessi copioni non funzionali, perdenti.

Arturo è un miliardario (non per merito), uno che non ha mai fatto nulla nella vita, se non spendere i soldi della nonna.
Un uomo mai cresciuto, un "bambino stupido" che dorme con il trenino in camera ed altri suoi giochi.

Così come ogni bambino va contro le regole, non le sa usare a suo vantaggio e tutto il suo essere "fuori se stesso" è sintetizzato in quella schizofrenica risata che, l'accompagna in tutto il film.

Ovviamente, come in ogni favola che si rispetti, non può mancare la donna "anch'essa non evoluta" con il mito del principe azzurro.

Così una cameriera che vive ancora con suo padre, al quale regala cravatte rubate, a lui, del tutto inutili (viveva poltrendo in canottiera a casa), non può che iniziare anch'essa il suo gioco in perdita. 

Nel film, è una donna intelligente e scaltra, eppure, sceglie il copione, il modello del principe salvatore, della "Luna che la segue", come se qualcuno o il mondo s'interessasse a lei.

Due "bambini" s'incontrano si dichiarano l'amore, come se ne fossero in grado, come se sapessero cosa sia.

Il film "passa" questi modelli e vari messaggi, come si potesse accedere a cose e piaceri così alti e superiori in modo gratuito, senza guadagnarli, senza un reale divenire.

I soldi non servono a nulla senza Anima, senza evoluzione e solo allora diventano funzionali, diventano libertà.

Ognuno dei due, nel film, diventa disastro dell'altro: lei si presenta (invitata da un altro frustrato) alla festa di fidanzamento di lui e così facendo, non solo, sminuisce se stessa ma, diventa complice di un gioco di bambini che possono giustificare tutto nel nome di un amore che si espone tutto nella frase: "Mi fai stare bene"... E questo sarebbe l'amore!

L'Amore è un "lusso", è...

Qual'e la morale del film?
La morale è che un alcolizzato, benché ricco non potrà realizzare la sua storia né se stesso e che una donna, seppur scaltra ed intelligente, non potrà realizzare la sua storia né se stessa, fin quando sarà in cerca del suo "principe azzurro".


A me piace credere che un giorno ci saranno Uomini, mi piace credere che un giorno, seppur ancora lontano, ci saranno ancora Uomini liberi, capaci di azione e di Essere.
Uomini vincenti.
So che il seme è stato gettato, so che ci sono Uomini che vivono, in diversi luoghi del mondo, e che in silenzio fanno la storia... 
Quella loro e chissà un giorno... 
Di chi...





lunedì 19 dicembre 2011

Passaggio a nord ovest

Questa sera avevo desiderio di scrivere un altro capitolo su quello che ho chiamato "Il sogno...ciò che serve per realizzarlo", ma come ogni volta prima di scrivere, faccio un "breve inventario" di me stesso.
Prendo maggiore coscienza delle sensazioni viscerali, cerco di capire se la testa è in grado di seguirle e, dopo aver scelto una fotografia tra quelle selezionate e titolate senza un vero ragionamento, scrivo di getto ciò che sento.
Saranno in tutto 21 capitoli, oggi sarebbe stata la volta del quattordicesimo, se non sbaglio.


Sarebbe stata, perché le sensazioni viscerali che percepisco sono solo simili a solchi tracciati con affilate lame e la testa è così pesante e intorpidita da credere quasi a se stessa, come se potessi credere che i vestiti che indosso o ciò che vedo nello specchio potessi essere io.


Oggi è il 19 dicembre 2011, sono in quello che gli uomini chiamano ospedale, un piccolo bambino dorme di fronte a me, a fatica vedo i tasti del computer poggiato sul carrellino che serve per mangiare quando si è a letto.


Tutto qui è sigillato, finestre, porte e l'aria che forzosamente viene immessa fa vibrare qualche pannello del controsoffitto senza sosta, attraverso i vetri posso vedere, oltre alla cupola della basilica di San Pietro, molte luci colorate ed intermittenti: mi ricordano che tra pochi giorni sarà Natale.


Non so se troverò mai il mio passaggio a nord-ovest, però è l'unico motivo per cui abbia un senso vivere per me.
Riesco a dare un senso a molte cose che vedo, poi mi domando se il senso che gli do sia vero, se davvero ci sia un motivo. 
A me interessa esclusivamente capire, oltre ogni morale, oltre ogni emozione, mi interessa solo quel passaggio, quello a nord-ovest.


Nella stanza dove sono, ci sono due piccoli letti e due poltrone, che di notte fungono da materasso per il genitore che deve rimanere accanto al proprio figlio.
La scorsa notte il piccolo letto affianco a me era occupato da un bambino di 4 anni, che aveva subito un'operazione al cervello con lo scopo di asportare un tumore ed a causa di questa, era divenuto cieco.
Davide, così si chiama.


Un bambino moto vitale, che sembrava per nulla turbato dal fatto di non vedere, camminava per la stanza, correva, giocava.
La madre gli spiegava di me e di Jonathan, allora lui si è avvicinato a noi per poterlo conoscere, ha infilato la sua piccola mano attraverso la spalliera del letto e delicatamente lo ha toccato, esclamando allo stesso tempo "Com'è piccolo!".  Lui è? 
E' proprio vero che tutto è relativo.


La madre, in attesa di un altro figlio ed ormai oltre l'ottavo mese, mi spiegava che la malattia, così chiamava il tumore al cervello di suo figlio, si era fatta di nuovo viva in un'altra zona dopo due anni di chemioterapia, per questo motivo, suo figlio doveva sottoporsi ad altro e difficilissimo intervento.


Chi ha vissuto queste situazioni, sa che non è come parlare con un amico davanti ad un buon piatto di pasta, qui racconti qualcosa al tuo vicino di letto nel tentativo di rendere meno penoso ciò che stai vivendo e questo avviene mentre cerchi di stare attento a tuo figlio, che non cada dal letto o che non si strappi via qualche ago o qualche strana sonda, e tutto questo, mentre infermieri ed infermiere di ogni tipo passano facendo qualcosa in ogni momento. 


Neurochirurgia pediatrica è un reparto molto particolare, chi passa di qui conosce la vita da un punto di vista non comune e purtroppo lo conosco da molto tempo.


Nel frattempo è arrivato il padre, un simpatico muratore ancora non quarantenne, motivato e fortemente deciso a passare la notte con il figlio, ben conscio che potrebbe essere l'ultima.


Ovviamente io, sono il meno organizzato di tutti, non ho portato quasi nulla con me, ne tanto meno qualche gioco, così ché loro avvedutosi di questo non fanno altro che passarmi qualche giocattolo del figlio, stando attenti a che lui, molto geloso, non se ne accorga:  "Tanto non vede.". 


Mi raccontano che loro si comportano con il figlio come se vedesse, in effetti il figlio non sembra cieco, poi il padre mi domanda di che squadra sono e quasi deluso dalla mia risposta di laconica indifferenza, m'informa che se anche il televisore si vede male, questa sera ci saranno due partite, tra cui la Roma che gioca con il Napoli.


In effetti, poco più tardi, approfitto della sua presenza in stanza, mentre guarda con un certo interesse la partita, per scendere un minuto a respirare un po' d'aria; meglio lo smog che quest'aria forzata d'ospedale. 
Così cerco di ritrovare un po' di lucidità lasciando andare lo sguardo sul panorama che dal Gianicolo si gode. Quante volte ho guardato la città da quassù, la stessa città, ma ogni volta un'orizzonte diverso. 
E' proprio così: ciò che guardiamo, ogni cosa, è solo una scusa, un pretesto, in realtà ciò che vediamo è dentro di noi.


Di nuovo in stanza, mi aggiorna del risultato della partita, sorrido dentro di me, mi sdraio come posso nel piccolo letto, abbraccio Jonathan che ogni tanto con quella confusione sussulta un po'.


Nessun pensiero, cerco solo la strada attraverso quelle cupe sensazioni...


Chi ha accompagnato un figlio ancor prima che compisse la sua prima settimana di vita, su un tavolo operatorio e vede il suo sguardo disperato mentre gli premono a forza una mascherina per addormentarlo è una persona a cui non si può più far male, perché anche il dolore più forte ha il senso di una carezza.


Mentre scrivo ogni tanto sento i respiri più profondi di Jonathan, che ormai non  mi crede più quando gli dico di non preoccuparsi, ormai conosce i colori dei camici, però non ha altra scelta che aggrapparsi a me in quell'inutile e disperato tentativo di eluderli, piange, ma appena può, torna a sorridere e a giocare come se niente fosse accaduto.


Sono perfettamente consapevole che l'inferno esiste in terra, l'inferno sono i complessi psicologici umani e ciò che questi generano. 
In un momento tutto è chiaro: zombi attratti da altri zombi. 


Come in un grande circo dove ci sono i clown, gli addestratori, gli acrobati, ecc.; qui ci sono i volontari, le suore, i preti, le donne delle pulizie, gli allievi, ecc.
Ognuno recita un copione, solo per raccogliere briciole di disperazione.


Le persone sono qui, ed anche io, per un preciso motivo, per un preciso errore.
A volte ho la forte percezione di vedere questi errori, di vedere questi esseri, come ombre di un'umanità che non potranno essere e che neanche sospetteranno mai possa esistere.


"Lascia che i morti seppelliscano i propri morti."


Tante cose mi diventano chiare; è un enorme inganno che si paga con sofferenze non descrivibili, ma pur sempre un inganno.


Qualcosa preclude il passaggio a nord-ovest, qualcosa cela la semplice via di ciò che la vita in se tranquillamente prevede; qualcosa di dannatamente forte e che trae forza dalla stessa vita.


Se il gioco, come penso, è perfetto, niente può essere più forte della nostra Anima, ed allora perché spesso questa perde? Alla fine questa non perde mai; esclusivamente noi perdiamo.


Mi torna alla mente l'antica dicotomia tra il bene ed il male; ovviamente il Bene è più forte perché in grado di vita "autonoma", ma spesso vince il male; in quanto, privo di forza in se, trae il suo vigore dal bene stesso.


In quest'ottica la lotta tra il bene ed il male è una falsa dicotomia; personalmente, non credo che esista.
Inizia ad esistere esclusivamente quando il "Bene" comincia a farsi corrompere, quindi, ha già perso; quando la nostra anima permette di farsi condurre da qualche pensiero, quindi, comincia a farsi alterare, a qual punto ha già perso.


E' come se credessimo, guardandoci allo specchio, che noi siamo i nostri vestiti, che noi siamo l'immagine che vediamo riflessa. E' come se credessimo che i nostri pensieri sono noi. E' come se cominciassimo a credere che la nostra Anima possa adeguarsi ai nostri pensieri. 


Eppure molta dell'umanità che conosco è talmente presuntuosa d' immaginare che la propria morale, i propri valori, il proprio credo, possa essere vero ed assoluto, funzionale e magari anche risolutivo.


Io so che nessuna convinzione, nessuna morale, nessun credo è in grado di salvare anche una sola anima; esiste un solo modo, adeguare i pensieri all'Anima e non viceversa,


questo è l'unico modo di trovare quel passaggio a nord-ovest.... 


Sono stanco e mentre qualche bambino ancora piange, un' altra notte all'inferno mi attende, ed io gli andrò incontro nell'unico modo che conosco: a piedi scalzi, da Uomo...


... sono ancora in viaggio.

lunedì 25 aprile 2011

Il momento della verità

Ad un certo punto ti accorgi che la vita è passata, una mattina ti svegli e ti chiedi se davvero ne sei stato degno, ti domandi se hai davvero realizzato il tuo potenziale.


Tutta la nostra libertà consiste in questo: realizzare il nostro potenziale oppure no.
Non ci sono altre libertà possibili in questo pianeta, in questo tempo, in questo gioco. Certo ho molta tenerezza di me stesso, quando molto giovane, credevo che essere liberi consisteva nel poter fare ciò che volevi, quando volevi; magari anche in modo trasgressivo. Ma ogni tempo ha le sue regole, i suoi costumi, le sue morali, le sue trasgressioni.


Quanta tenerezza nel capire che non serve rompere o trasgredire, perché anche questo è un comportamento previsto; l'unico sistema è quello di rispettarle tutte, ma renderle relative ed ininfluenti per noi, dentro di noi.


Ma questo non risponde alla domanda. La risposta è semplice: certo che no. 
C'e' un momento, per tutti, nella vita o meglio, alla fine della vita, che mi piace definire "Il momento della verità".


Prima o poi lo affronteremo tutti. 


Alla fine del gioco quando avrai speso, dissipato tutte le infinite possibilità che hai avuto e non puoi averne più neanche una, cosa dirai  a te stesso? 
Domani è un altro giorno? No i giorni sono finiti, caro amico.


Quando pochi respiri ti separano da quel momento, forse, vorrai tornare indietro e chissà forse saresti una persona diversa; forse non saresti capace di odio, forse sorrideresti a tutti, forse apprezzeresti ogni respiro, ogni giornata di sole o di pioggia; ma indietro non puoi tornare e non puoi andare neanche avanti.


Sei solo, è il tuo momento della verità. Solo con te stesso, avrai la consapevolezza di aver vinto o sprecato questa vita o anche solo qualche giorno di essa.

Da diverso tempo non sono più capace di provare rancore, odio per nessuno; neanche di chi si approfitta di me e mi rendo conto che non è difficile.
Ho cominciato a far fatica a capire come possa nelle persone esistere cattiveria o senso di vendetta, comincio a non ricordare più il tempo in cui anche in me albergavano queste emozioni.


Ricordo un saggio, che quando parlava di quel momento lo descriveva con una similitudine:
"E' come quando arrivi all'orgasmo dopo aver fatto l'amore."


Il punto è che se non hai realizzato il tuo potenziale, quel momento è dannazione eterna. 
Tutto qui!


L'unica libertà che abbiamo è questa.


Non pensarci, far finta di essere immortali, non ci farà evitare il nostro momento della verità.
Come ci arriveremo dipenderà da ciò che avremo fatto ogni giorno, da come avremo vissuto, se saremo stati capaci di realizzare il nostro potenziale, di riempire il nostro bicchiere.


Certo non mi riferisco a tutti, ma solo a quelle persone che non demandano la propria intelligenza, la propria responsabilità fuori di se; a quelle persone a cui cose come la speranza , la fede, la provvidenza, non solo non bastano, ma fanno sorridere.


Mi rendo conto che sono strumenti necessari, ma non per tutti.


Sarebbe bello che ci fosse sempre qualcuno che pensa a noi, ma si cresce. Il bambino non ha più bisogno dei genitori e grazie a questo comincia a scrivere la propria storia. 


Arrivare al nostro momento della verità con il desiderio di due amanti, con la consapevolezza di aver dato storia ad ogni possibile proprio potenziale, di aver reso la propria vita un capolavoro è impegno costante. 
E' poter rispondere a questa domanda: "Se oggi fosse stato il tuo ultimo mese, il tuo ultimo giorno di vita, cosa avresti fatto?"


In questo modo:  "Quello che ho fatto!" 


Ogni giorno.


Alla fine di ogni alibi, alla fine di ogni possibile, alla fine di ogni scusa: saprai chi davvero sei stato, chi davvero Sei!


Il momento della verità, ci aspetta, ci vuole: paradiso o inferno; è nelle nostre mani.