Vedo mio figlio giocare, lì nel cortile, con suo fratello di sette anni più grande; sono seduto vicino a suo padre, mentre la madre prepara il pranzo.
Ho amato quella donna fin dove ho potuto.
E' una domenica, verso la fine di un' estate, c'è un bel sole, in quel piccolo paese.
L'aria tersa, porta con se molti profumi, sembrano provenire da quel tempo senza memoria.
I polmoni assaporano quell'atmosfera, sospesa, dove la vita rallenta il suo incessante ritmo, fino quasi a fermarsi.
In fondo, ho avuto molte famiglie; in fondo non ne ho mai avuta alcuna.
I bambini giocano fuori, posso vederli attraverso la porta, non chiusa dell'ingresso, che direttamente si affaccia sul cortile condominiale.
Sono seduto, nell'attesa del pranzo, ma è come se non appartenessi a quella storia, come se fossi già altrove.
Cosa faccio seduto affianco a quest'uomo, mi chiedo; mi parla, mi dice chissà cosa, non riesco a sentirlo.
E' una bella giornata, le voci di quei fratelli di padri diversi, mi arrivano direttamente al cuore, saltano ogni razionalità: sensazioni forti.
Possiamo osservare la madre, intenta a preparare il pranzo, oltre quel piano rialzato, che separa la cucina dal salone; si parla, senza dirsi nulla.
Così dopo molti anni, ho conosciuto il padre, del fratello di mio figlio.
Aveva, da poco, finito di pagare il suo debito con la giustizia degli uomini, molti anni erano trascorsi, ora potevamo far cadere quegl' ultimi veli. Seduti uno accanto all'altro.
La madre aveva saggiamente assegnato i posti a qual tavolo, stretto tra la parete e la spalliera di quel divano rosso scuro, rivolto, a sua volta, frontalmente, verso il televisore: lui seduto davanti a suo figlio; alla mia destra, a capo tavola, il mio.
Alla destra del divano, su quel mobile basso, si scorge ancora una fotografia, che mi ritrae insieme a lei, in quel giorno felice, lo ricordo; uno dei pochi che abbiamo vissuto, condiviso. Durante un viaggio, un bel viaggio.
Per qualche anno, sono stato il padre di suo figlio, ed ora, seduto vicino a me, mi parla di tutto, tranne di ciò che avrebbe voluto, parlava, senza dire nulla.
Così per quella prima ed l'ultima volta, decisi di stare al gioco, non dissi nulla; neanche io.
Avevo tutte o quasi, le risposte e domande non ne avevo.
Lei aveva tenuto, per se, il posto di fronte a me, mi chiedevo quale fosse la sua realtà, forse, per la prima volta, aveva a disposizione i molti pezzi della sua vita, lì davanti contemporaneamente, forse aveva l'impressione di poterli, in qualche maniera, metterli insieme, dargli un senso.
Forse... Le davano un'idea quasi d'interezza, la sensazione di poter avere un quadro completo, ma erano come i pezzi di un puzzle, non ancora costruito, pezzi che non potevano essere assemblati, perché appartenevano a disegni diversi.
Eppure, in quella domenica mattina, aveva davanti capitoli molto importanti della sua vita e questo le dava una bella ed amara sensazione al tempo stesso.
"...Signora: caffè..."
Questa è l'unica cosa, che ricordo disse, verso la fine di quel pranzo, pronunciò queste due parole con voce alta, così come a voler ribadire un primato da capo branco, che interessava solo a lui, a cui si aggrappava, pur non avendolo mai avuto o perso, da molti, molti anni.
A lei non piacevano quei luoghi, quei paesi della Sabina; in realtà non li aveva mai amati; ora mi dava la responsabilità delle sue scelte, almeno quelle che riguardavano gli ultimi 5 anni della sua vita ed anche della mia.
I nostri progetti, le nostre vite avevano preso strade diverse da un anno e mezzo, ormai.
Se non avessimo avuto quel figlio insieme, probabilmente, non ci saremmo più rivisti.
Non mi sono mai piaciute le storie lineari, semplici, canoniche, quelle a cui tutti ambiscono, che tutti desiderano, per intenderci.
Ho sempre intercettato quelle problematiche, come se il percorrere l'inferno, prima dell'eventuale paradiso, lo potesse rendere più bello, in qualche modo.
Invece il paradiso, fu solo in quei brevi attimi, quando lo si poteva lasciare alle spalle, dimenticandolo, almeno per un po'.
In ogni amore importante, ho avuto la presunzione, di poter vedere la strada verso l'uscita, di poter indicare la via d'uscita, ma ogni volta ne sono diventato parte.
Nessuna donna, che ho incontrato, che ho amato, alla fine ha mai davvero deciso di voler abbandonare quel luogo tanto odiato, tanto amato, che a me piace chiamare inferno.
Potevo toccare tutto, vederne, quasi, ogni effetto, ma alla fine ho sempre lasciato che le cose andassero, così, come dovevano; ho sempre lasciato che scegliessero a modo loro.
Solo una cosa non ho mai voluto toccare, né toccherò: la libertà.
Certo, che lasciar fare la scelta sbagliata, ad una persona che ami, non è davvero facile.
La vita, in fondo, è semplice, è fatta di scelte; così mentre camminavo verso la macchina, attraversando quell' anonimo cortile, questi pensieri si affollavano nella mente.
Avevo appena abbracciato mio figlio, per salutarlo e lui, come sempre, non voleva lasciarmi andare, ma la vita è fatta di scelte ed io, ancora una volta, avevo scelto...
Mi chiamo Fabio e le statistiche dicono, che ho vissuto più della metà della mia vita.
Un'altra estate era trascorsa, un'altra indimenticabile estate, la numero 47 ad essere precisi.
Che estate! Di nuovo una vita da inventare.... Da dove venivo; lo conoscevo bene: una vita piena di esperienze, densa, diverse vite non sarebbero state sufficienti a contenerle tutte.
Dove stavo andavo, invece, non lo sapevo, potevo semplicemente continuare, a seguire il progetto, di cui ancora non vedevo l'insieme, ma ogni giorno, ciò che avevo fatto e capito, serviva al nuovo passo...Potevo, finalmente sentirne il profumo, il tiepido respiro dell'anima, tutto cominciò così....
....