venerdì 1 dicembre 2017

Una sera come tante, questa sera.

Questa sera mentre cenavo, mi godevo la stanchezza, mi ci arrotolavo ed avvolgevo.

C'è una trattoria vecchio stile, vicino a dove abito, bianche e quasi accecanti luci al neon ed un grande camino, dove uno dei due fratelli proprietari, uomo tarchiato e gentile, cucina grosse bistecche, lombate salsicce e non solo.


Tovaglie e tovaglioli di carta, coprono massicci tavoli di legno; in alto su una parete, un televisore così datato da essere ormai un pezzo vintage, fa bella mostra di se. 


Sintonizzato su un qualche notiziario a volume non molto alto, permette a chi, come me, non fosse interessato, di trattarlo come semplice oggetto d'arredamento: un quadro di grande volume e molto pesante, poggiato su una mensola a sfidare la gravità


il frigo della carne, che ricorda quello dove si vendevano i gelati sfusi ed un vecchio e impolverato mobile, usato per riporre bicchieri e posate, completano l'arredamento.


Quando sono stanco e apprezzare il piacere ricercato, sofisticato, non è possibile, ci vado volentieri; s'incontrano le solite facce, anch'esse ormai parte dell'ambiente, così posso inserire il pilota automatico e mentre con calma mangio, mi adagio a rivedere e verificare la giornata appena trascorsa.


Hanno un vino senza alcuna pretesa di gusto o sentori, ma che ridona gioia all'anima e forza al corpo...


... Continuavo a godermi la stanchezza e mi venne in mente un una parte di un post che scrissi in questo blog nel 2011, poi divenuto un capitolo del mio libro: "Il vincitore non ha scelta".


... ... ... ... ...  ...  ... ...  ...


Il sogno: ciò che serve per realizzarlo... Quando sei stanco: non arrenderti, riposati. 



I pensieri sono fermi, la tua anima ti sta insegnando che hai sbagliato.

Ci sono due tipi di stanchezza: quando hai fatto bene e con sano egoismo quello che dovevi e volevi fare e quando hai dato e fatto "a vuoto".


Quando la stanchezza è sana, è molto bella, si può godere del riposo e le cose sono state fatte in modo eccellente puoi meritare ciò che i latini definivano ozio: un'uscita momentanea dalla storia, dal correre quotidiano, per ritrovare casa.


Uscire da: ogni azione, ogni problema, ogni ruolo o dovere; esclusivamente te stesso in contemplazione del fluire, fuori dal tempo.


L'ozio è piacere esclusivo di persone capaci. L'ozio è per quei capitani che non si accontentano di "un porto sicuro", ma che dopo aver navigato e condotto la nave in porto, abbiano poi il loro segreto rifugio.


Magari all'ombra di un albero di olivo, in cima ad una collina dalla quale possano distendere e riposare lo sguardo, accarezzando il tiepido morbido abbraccio dell'assenza di ogni pensiero, potendosi così dedicare al proprio personale piacere del semplice fare per il bello.


Questa è la stanchezza positiva, è la sana stanchezza dei vincenti.


Poi c'è l'altro tipo di stanchezza, quella di quando hai sbagliato.


Hai dato troppo e non era necessario e soprattutto non era utile, né strategicamente né tatticamente.


E' una stanchezza vuota, dalla quale è molto difficile riposarsi. E' difficile perché non è soltanto una "questione" di fatica fisica, ma si è ridotto il proprio livello energetico...


omissis .. 



Già! 


Trasalii sentendo, in sottofondo, il volume del televisore: non era il tempo dell'ozio, c'era ancora da lottare, in fondo combattere continuava a piacermi e non me ne ero mai sottratto o tirato indietro.


Tornai semplicemente a godermi la stanchezza, quella sana; qualche avventore, conosciuto di vista o poco più, passando, diceva qualcosa o semplicemente salutava... 


Sorridevo ed annuivo, avevo l'impressione di guardare un film muto, vedevo le labbra muoversi i volti parevano senza espressione e non udivo nessun suono o parola, eppure ritengo che qualcosa dicessero.


In quella stanchezza, la forza faceva la sua casa; l'alba non era poi così distante, il nuovo giorno mi avrebbe trovato lì ad aspettarlo, pagai il conto e andai...


domenica 19 novembre 2017

Quei tempi sono lontani...

C'era un tempo in cui, quando qualcuno decideva di parlare, lo faceva in quanto poteva farlo: per autorevolezza, per intelligenza, per storia e prassi dimostrata.

Si poteva percepire, lo "spessore" il carisma di quell'Uomo, che aveva "autorità", che aveva guadagnato il diritto a "dire".

Quando un Uomo decideva di parlare, diceva sempre, riusciva a fare realtà in qualche attento uditore, che per caso o per merito si fosse trovato lì ad ascoltarlo.

Era il tempo in cui c'erano doveri, responsabilità, sacrificio e determinazione.

Ma quei tempi sono lontani... 

Si parla per parlare, senza dire nulla, se non qualche parola retta da luoghi comuni e facili tentativi di rubare ancora emozioni.

In televisione, sui social, al bar, in ogni luogo, solo vuote parole, frasi che non portano dinamiche vitali, semplice cifrato computer.

Luoghi comuni: i giornalisti in tv si preoccupano solo di quale audience avranno e di quale figura abbiano fatto, sui social quanti like riceveranno per gli "alti" concetti espressi; non c'è nessuna novità, nessuno spazio bianco dove ritrovare casa, dove trovare l'entusiasmo della vita.

Ci s'interroga su quali siano stati i problemi della nazionale di calcio, ad esempio, chi abbia sbagliato, perché e come, poi tutta la solita serie di stereotipi: rifondare il calcio italiano, dimissioni, troppi soldi, ecc.

Qualche tempo fa, ho avuto occasione di andare a vedere una partita di ragazzi 14/15 anni nei nostri tornei provinciali, in un paese chiamato Selci, nella zona dove io vivo.

Mi sarei aspettato di vedere giovani divertirsi con spirito agonistico e che avrei potuto vedere l'Italia del domani; mi sarei aspettato di vedere sacrificio ed ambizione, di vedere genitori orgogliosi di come avevano "educato" i propri figli... 

E proprio così, in un certo senso, è stato!

Certo, non come sarebbe stato giusto, Umano, vedere...

Ho visto l'arbitro (una ragazza giovanissima) piangere, perché insultata da genitori facinorosi, ho visto falli cattivi ed inutili, ho visto genitori "incapaci e frustrati" e figli non capaci di "guadagnare" la gloria.

La gloria non è quella che c'insegnano in tv, mi riferisco a quella che ognuno può guadagnare solo con se stesso, con la vita.

Ad un tratto, mi sono trovato a guardare gli spalti invece del campo, tutto è apparso chiaro, semplice.

Ogni risposta era lì: il motivo per cui la nazionale non fosse riuscita ad arrivare ai mondiali, il motivo per cui l'italia, potenzialmente uno dei paesi con le maggiori risorse al mondo, si trovasse invece in uno stato pietoso, il motivo per cui i politici non sapessero che direzione prendere, insomma, ebbi il riscontro a molti degli interrogativi della società in cui vivevo.

Così, mentre mi allontanavo, potevo ancora udire grida cariche d'inutile rabbia, insulti senza alcun senso; percepivo tutto il vuoto del mondo.

Vuoto a vuoto, terra a terra, vite prive di senso!

Continuavo a camminare e allontanandomi dal campo, mi ripulivo di quelle frustrazioni, di quel non senso; ripresi a respirare, percepii nuovamente la dolcezza ed il sapore dell'aria e quella voglia di sano piacere.

Si, avevo voglia di sano piacere, quasi da opporre al vuoto, come si potesse opporre qualcosa al vuoto...

Mi allontanai a riprendere la via, quella via che ogni Uomo ha necessità di percorrere; magari se fossi stato attento e fortunato, avrei potuto scorgere uno di quei cavalieri solitari, che molto di rado può capitare d'incontrare;

in fondo era quasi ora di pranzo, forse avrei potuto vedere quel fumo, avrei potuto assaporare quel buon sapore di sigaro o magari semplicemente percepirne la presenza, il calore; la distanza nello spazio o nel tempo, non sarebbe stato un problema...

Come mi accadde quella volta, in quelli che dovevano essere solo pochi giorni di vacanza a Tarifa, tranquilli giorni in kaysurf che si rivelarono, invece, ben altra cosa, ma questa é un'altra storia: Come gabbiani.

giovedì 9 novembre 2017

Una guida, una chiave...

Il libro "Come gabbiani" è molto particolare, apparentemente semplice, si è portati a leggerlo velocemente, spinti da qualche emozione può capitare di trovarsi ad averlo finito quasi con un senso di attesa mancata, come se il finale lasciasse non del tutto appagati.

Questo è esattamente quello che l'autore ha inserito come uno dei moltissimi indizi e segnali del libro, è un segnale che non si è permesso al libro di farlo parlare, di farlo agire dentro di noi; la storia ha bisogno di essere letta in ogni singola parola, seguendone il ritmo semantico, non semplicemente il senso razionale.

Per questo motivo l'autore scrive, come ulteriore aiuto il sottotitolo "...Piccoli segni lungo la strada", in quanto ognuno di noi è chiamato, appellato a trovare il proprio senso di esistere, a scoprire il senso della vita e per far questo deve procedere a ritroso, non potendosi fidare solo della logica e non potendo percorrere la strada già seguita da qualcun altro o una qualche teoria: sia essa religiosa, morale, di costume o di vita; deve procedere ritrovando il suo unico irripetibile e originale progetto attraverso quei piccoli, a volte apparentemente insignificanti, segni lungo la strada.

Quei piccoli segni sono ovunque: nel mondo esterno, nella natura, lì dove è ancora sufficientemente incontaminata e dentro noi stessi.

Qui segni vanno cercati con estremo candore e cautela, come quando si entra in un negozio pieno di cristalli preziosissimi e fragilissimi, vanno individuati quasi all'ombra della propria razionalità, in quanto questa è in grado istantaneamente, appena individuati, di assimilarli ed automaticamente eliminarli.

Per questo motivo il lettore, che voglia scorgere quei segni, dovrebbe far agire il libro dentro di se e non viceversa; dovrebbe, in un certo qual modo, fingere di seguire la trama, senza troppo interessarsene e nel mentre fa questo lasciare spazio all'ascolto di quelle emozioni, a quei piccoli segni nascosti nelle parole del libro, dove ogni singola parola ha un preciso segno, esattamente come musica che, per essere ascoltata, necessita di non soffermarsi su ogni singola nota.

Il lettore attento potrà scoprire, leggendo con questa modalità, di sospensione della "solita razionalità", un altro libro, potrà arrivare a vedere quei piccoli segni, appositamente "nascosti" e ad un tratto, come per magia, appariranno in bella evidenza, chiari.

La storia è semplice, racconta di una breve vacanza durata una settimana a Tarifa, nel paradiso dei surfisti e dell'incontro casuale con un misterioso e particolare Uomo.

Chi vorrà leggerlo potrà trovare più chiavi di lettura e moltissimi temi importanti.

L'autore, che al tempo di quella settimana di vacanza, aveva passato da diversi anni la quarantina, incontra un mondo che ormai non gli appartiene e non gli può più appartenere e proprio grazie a questo, riesce a cogliere, come da una finestra temporale i diversi aspetti dello stesso mondo, tempi e realtà mutate. Quei ragazzi ventenni hanno altri orizzonti, gli stessi dell'autore oltre venti anni prima ed avendoli percorsi non può che riconoscerli con calda nostalgia, ma scorge anche la tensione che tutti i giovani sentono nel cercare il loro senso di esistere.

L'autore è ormai lontano da quel mondo fatto di sole, discoteche, piccole goliardiche sfide e dall'eros prorompente che la vita fortemente esalta a quell'età.

Così riesce a ricordare quel percorso, quasi ad accarezzarlo una seconda volta, ma appartenendo ormai ad altra storia, quando il tempo acquisisce maggior valore.

L'autore siede, beve birra e scherza con loro, vede quei muscoli scolpiti, le curve femminili nel loro pieno, ma la sua tensione e attenzione è sempre su quei piccoli segni, che ognuno deve trovare per se, perché nessuno può percorrere la strada di un altro, al massimo (se è un Saggio) può ammiccare alla via, come se dicesse: "Quello è il tuo sentiero, ma tu e solo tu, se vuoi, puoi percorrerlo".

Anche il Saggio ha questo limite, perché nessuno può toccare la libertà altrui; ognuno deve scoprire e compiere il proprio viaggio, realizzare il proprio progetto.

Nel libro, nell'apparente susseguirsi di quei giorni, si affrontano molti temi, per questo l'indice è strutturato per argomenti, come ad esempio: anima, amicizia, piacere, leader, amore, felicità, coraggio ed altri.

Anche questa può essere una chiave di lettura, un altro piano di lettura.

L'autore ha inteso la costruzione del libro su tre livelli, su tre diversi piani di lettura: narrativo, tematico esperienziale e interiore con lo scopo, parafrasando, di vedere quei piccoli segni che indicano la strada verso il "passaggio a nord-ovest".

In questo senso va inteso anche il titolo del libro: "Come gabbiani" infatti non va interpretato con le classiche idealizzazioni: il senso di libertà, il volo, il mare, ecc., ma va compreso proprio in senso pragmatico e di contatto diretto con la natura, con la vita.

Per questo motivo il libro, dopo la prefazione ed il prologo, comunque molto importanti, perché  danno la chiave di lettura e inquadrano il contesto degli eventi, apre con poche righe dal titolo "Come gabbiani", non è un capitolo, perché il libro non è diviso in capitoli, ma in argomenti e può anche essere letto aprendolo in modo casuale o su un argomento d'interesse, è fatto in modo che da qualunque punto si parta, ci sia come un rotondo, con l'inizio e la sua conclusione, come la vita, appunto.

In questo primo brano, l'autore scrive testualmente, in uno dei 9 (già 9) brevi paragrafi di cui è composto, per precisione, nel secondo: "In quel minuscolo lembo di terra tra cielo e mar, ci sono pochi metri quadrati ad est, appena protetti dal vento, dove i gabbiani scelgono attentamente il loro piccolo angolo per morire."

L'autore fa riferimento ad un luogo preciso e specifico, in particolare ad un angolo dell'Isola Piana adiacente l'isola di San Pietro, dove, a più riprese e nel corso di oltre trent'anni, si è sdraiato a fianco a quei gabbiani, quasi a percepirne l'esattezza di natura; quei gabbiani che compiuto il loro gioco, esperita la vita, dolcemente vanno a morire, senza stress, guardando il sole.

Sono gabbiani sani, non ancora corrotti dall'ambiente, non si nutrono di spazzatura, ma pescano con fatica e abilità pesci dal mare.

L'autore non vuole evidenziare la morte, in quanto questa è parte della vita, ma l'esattezza di natura, l'esattezza che se non persa, è già normalmente prevista dal progetto insito negli esseri viventi.

Ai gabbiani non è data la possibilità di accedere ad altre dimensioni, oltre quella naturistica, mentre è prevista per l'Uomo, ma solo ed esclusivamente se non sbaglia e realizza il proprio progetto.

Come gabbiani (sani) l'Uomo deve/dovrebbe... Seguire quei segni, senza cadere nelle infinite trappole od inganni, dribblando "la macchina" e quei meccanismi che ci troviamo ad avere; fino a quando, ad un certo punto, qualcuno, riesce a vedere se stesso, ad essere in quel passaggio, all'interno dell'Essere.

L'Uomo, nell'esperienza dell'autore, si ritrova a vivere in un modo che non gli appartiene, stretto tra orari, doveri e vincoli, poi una mattina svegliandosi, si accorge che la vita è finita e muore.

L'autore sostiene, che è possibile accedere almeno al ciclo animale/biologico ovvero ad avere una vita sana, naturale, felice; sostiene che, da quel livello in poi è possibile iniziare quel percorso fatto di piccoli segni, che si possa guadagnare la possibilità del ciclo dell'Essere, dove la vita, trova ogni scopo e senso.

Un gioco semplice e perfettamente spietato, un gioco esatto, senza possibilità d'errore; questo è il motivo che lo spinge a scrivere: "Non siamo liberi, in realtà, siamo solo liberi di sbagliare."

Perché o per chi è questa piccola guida, questa chiave di lettura, che l'autore vuole dare del suo libro?

Perché, come nella vita, è facile prendere strade che si perseguono pedissequamente con la convinzione più assoluta di essere nel giusto, si seguono fino al burrone ed oltre, fino a precipitarci.

Così potrebbe capitare leggendo questo piccolo, ma molto intenso e particolare testo.

L'autore ha scritto questa piccola guida, questa "chiave di lettura" sia per chi l'abbia già letto, così che magari possa capirlo e percepirlo in un altro modo, come non aveva, forse, inteso, sia per chi non l'abbia ancora letto, così che anche questo breve brano possa essere... Un piccolo segno lungo la strada!

Buona lettura, buon viaggio a tutti voi viaggiatori che più di altre persone, avete urgenza di capire maggiormente voi stessi che, sentite maggiormente profonda impellenza ed avete una spinta più forte nel volervi realizzare, nel voler scoprire chi davvero siete, anche se a volte percepite questa spinta come stress, come insofferenza; un'urgenza che ha bisogno di pace, ha bisogno di casa...

"Come gabbiani ...Piccoli segni lungo la strada"

venerdì 25 agosto 2017

Attimo dopo attimo... Tutta la vita!


"Il complesso tiene legate le persone, lo chiamano amore...

Il complesso non si può "spegnere" e l'Amore e' solo dove non c'e' il complesso, l'Amore è solo per chi ha vinto il gioco!"


Sono appena terminate le olimpiadi Brasiliane, e' stato un bellissimo agosto... Verso la fine di questa estate 2016...


Quando osserviamo un campione vincere una gara, realizzare il suo record, sembra tutto abbastanza semplice, quasi naturale.


Pochi pensano o si rendono conto di quanta fatica, di quanti allenamenti, di quanta volontà ci sia voluta, di quanti imprevisti, infortuni, dolori abbiano dovuto affrontare e risolvere...


Già, risolvere!


Ancora meno sono le persone che si rendono conto che per arrivare a qualcosa: sia essa la felicità, il saper Amare, la salute, la realizzazione, ecc., non è sufficiente vivere, esistere, ma ci vuole allenamento, volontà, progress, cambiamento; bisogna risolvere difficoltà; palestra di vita, che va scelta, se si vuol essere un campione.


Educhiamo i nostri figli cercando di fargli comprendere che, nella vita, tutto ha un costo, che bisogna guadagnarla e questo è sacrificio e impegno.


Mi chiedo che esempio siamo noi adulti; riteniamo che le cose più importanti, lo stesso scopo della vita, sia gratuito.

Riteniamo che tutto o quasi, sia dovuto, che si arrivi ad Amare in modo automatico, che si arrivi a fare quello che si vuole senza fatica, che si vinca il gioco senza giocare, senza mettersi in discussione.

Addirittura, per chi ha qualche fede religiosa, si delega, si mette fuori se stessi, si demanda anche la possibilità della vera vita, di una vita migliore dopo questa, come se questa fosse sbagliata.

Eterni bambini con eterni genitori.

I campioni sanno che nessuno potrà allenarsi, faticare, soffrire al loro posto.
Sanno che responsabilità, volontà, resilienza, capacità di soffrire, sono solo alcuni degli ingredienti di cui dovranno servirsi.

I campioni nello sport, così come nella vita sono "giganti", i loro valori e i loro riferimenti sono diversi; la loro mente si nutre e agisce su altri orizzonti.

Nella vita non si nasce o si diventa campioni, si sceglie di diventare campioni e soprattutto, se ne assume la responsabilità di diventarlo.

Attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, tutta la vita!

venerdì 31 marzo 2017

I libri sono come dei figli: cominciano ad esistere, prima come una parte di se, poi volano via... Come gabbiani.

Da oggi disponibile!

Come gabbiani. "Piccoli segni lungo la strada" 

 

venerdì 6 gennaio 2017

Un libro appare nella mente dell'autore, in un attimo.
In quell'attimo tutto è compiuto, però, ciò che è virtuale dev'essere tradotto e trasformato in storia, in progetto compiuto.


 Un figlio può compiere qualsiasi percorso, può essere un vincente od un perdente, indipendentemente dal padre; invece, un libro è comunque immagine e somiglianza di chi lo scrive; fantasia, realtà, gioco o finzione è, in ogni caso, sostanza dell'autore. Un autore, in ogni suo libro è comunque nudo.

C'è stress positivo nello scrivere un libro, il disegno è quello ma, i modi e i colori con cui esso verrà fuori ancora non sono noti.

Sto dedicando questi giorni "festivi" alla scrittura del mio secondo libro Come gabbiani, nel quale ogni narrazione è assolutamente vera, reale e vissuta in prima persona, ha comunque, nel suo filo narrativo, qualche escamotage, ed è per questo motivo che sono anche io preso e molto curioso nel voler sapere come andrà a finire... 

Perché, giuro, ancora non lo so!